Dal 2010 Premio Biella Letteratura e Industria premia anche le opere straniere tradotte in Italia
Nel 2010 il Premio Biella Letteratura e Industria allargò i suoi orizzonti alle opere straniere in traduzione italiana con il “Premio Opera Straniera” riservato alle opere, sia di narrativa che saggistiche, tradotte e pubblicate in Italia nell'anno di pertinenza del Premio.
Sfogliamo di nuovo insieme quattro delle opere che si sono aggiudicate nel corso degli anni il premio dedicato alla letteratura internazionale:
- Tim Parks, Coincidenze. Sui binari da Milano a Palermo (Bompiani)
- Serge Latouche, L’invenzione dell’economia (Bollati Boringhieri)
- Gaël Giraud, Transizione ecologica. La finanza a servizio della nuova frontiera dell’economia (Emi)
- Simon Roodhouse, Cultura da vivere. I centri di produzione creativa che rendono le città più vivibili, più attive, più sicure” (Silvana Editoriale)
Tim Parks, “Coincidenze. Sui binari da Milano a Palermo” (Bompiani) Premio Opera Straniera 2015
Si può anche vedere l’Italia dai soli finestrini di un treno. Sporchi, magari, pazienza. Conoscerla anche? La risposta, nelle 340 pagine del libro che reca come titolo Coincidenze e come trasparente sottotitolo, ad evitare fuorvianti attese: Sui binari da Milano a Palermo. Lo scrive Tim Parks, scrittore inglese da trentadue anni residente in Italia, per la precisione: residente su Trenitalia. Senza fare torti a Italo, a Eurostar o a trenini locali sprovvisti di nome e di età. Tutto pur di non mettere più piede su quelle malfide automobili che includono responsabilità di guida, conoscenza e osservanza di codici, vigili e poliziotti troppo solerti. Sul treno, invece, puoi abbandonarti al lusso di una vita non solo assente di responsabilità ma anche ricca senza misura di esperienze culturali ed umane, oltre che inesauribile di sorprese. Per lo scrittore, una miniera senza fondo di spunti spontaneamente offerti da conversazioni quasi mai sussurrate, confidenze (quasi mai sollecitate), senza escludere colorita varietà di messaggi in volo dai cellulari, moniti, confessioni e segreti urlati da un capo all’altro dei vagoni, ticchettio di sms e barzellette su Berlusconi. Frammenti e squarci che lasciano indovinare - quando non spiattellano senza reticenze - la storia intera di una vita, di una famiglia, pronta ad essere trasferita sulle pagine di un libro. Certo non sono sempre tutte rose né tutti fiori. Può esserci (e quasi sempre c’è) il controllore bizzoso, l’orario modificato senza preavviso, la corsa annullata, la donna addormentata che soffia alito di aglio, il vicino ciarliero, lo scompartimento invaso dalla bigiotteria degli ambulanti, da insonnolite prostitute o da sportivi litigiosi. Ma in finale c’è assoluzione - ringraziamenti anzi - per tutto e per tutti, treni, stazioni, orari, regolamenti, disagi, incongruenze, viaggiatori, controllori, borseggiatori persino.
Serge Latouche, “L’invenzione dell’economia” (Bollati Boringhieri) Premio Opera Straniera 2010
La crisi economico-finanziaria che si è manifestata sul finire del 2008 ha sollevato una serie rilevante di problemi, tra i quali emerge quello relativo all’assenza pressoché totale di segnali della sua imminente manifestazione da parte degli studiosi di economia. Serge Latouche sostiene in questo saggio che la ragione profonda di tale assenza sta nel fatto che l’economia si è sempre più isolata dal resto dei saperi umani, fin dalla pubblicazione della Ricchezza delle nazioni di Adam Smith il quale emancipava l’economia dalla morale, creando così un settore delle azioni umane, separato e autonomo, dove l’etica e le forme di socializzazione tradizionali risultavano inutili o nocive e nel quale gli uomini, perseguendo i loro interessi egoistici, lavoravano inconsapevolmente per il bene comune. La conclusione a cui arriva Latouche è che l’ipertrofia della sfera economica, rispetto alle altre sfere della vita umana, ci ha portati alla onnimercificazione del mondo, nel senso che l’economia non solo si è emancipata dalla politica e dalla morale, ma le ha letteralmente fagocitate. Non tutto è perduto, però, secondo Latouche sta nascendo un mondo nuovo, fondato su basi radicalmente diverse che permetteranno “la costruzione di una società conviviale plurale, liberata dalla religione della crescita e dell’economia liberata dalla religione della crescita e dell’economia”.
Gaël Giraud, “Transizione ecologica. La finanza a servizio della nuova frontiera dell’economia” (Emi) Premio Opera Straniera 2016
In questo libro non c’è soltanto la denuncia di un’economia che si è dimostrata ormai insostenibile, facendo appello alla responsabilità che ognuno di noi riveste nei confronti delle generazioni future, Gaël Giuard indica una possibile via d’uscita tutt’altro che astratta. Il passaggio a uno stile di vita finalmente rispettoso dell’ambiente naturale (decisivi, tra gli altri, i temi della mobilità e del riscaldamento degli edifici) va di pari passo con l’individuazione di strumenti finanziari che siano in grado di sostenere un processo tanto urgente quanto complesso. Si tratta di ripensare la natura stessa della moneta, anzitutto, ma anche di avviare una riflessione non preconcetta nella direzione dei cosiddetti “beni comuni”, risorse preziose e di per sé inalienabili la cui condivisione va tuttavia regolata in modo chiaro ed efficace. Mentre discute di mutui subprime e di illusionismo speculativo, Giraud traccia così le linee portanti di un nuovo contratto sociale, capace di superare la logica spietata della competizione a ogni costo e di istituire uno stile di convivenza che non abbia in odio la ricchezza, ma che privilegi l’uso dei beni al loro possesso.
Simon Roodhouse, “Cultura da vivere. I centri di produzione creativa che rendono le città più vivibili, più attive, più sicure” (Silvana Editoriale) Premio Opera Straniera 2012
Simon Roodhouse è a suo modo un magistrale tecnico che ci presenta progetti già ambiziosamente attuati definiti “Cultural Quarter”, ossia quartieri progettati per diventare modelli di rigenerazione urbana. I modelli si basano su riconversioni architettoniche di quartieri cittadini degradati nei quali la fruizione degli spazi è percepita come modello culturale aggregante, destinato all’intrattenimento ma anche a una sana concezione del tempo e della vita. Soltanto una logica di sviluppo culturale basata sulla partecipazione e sulla condivisione è infatti in grado di indirizzare una città verso la ricostruzione della propria identità e creare un senso del vivere collettivo, attraverso percorsi di conoscenza mirati alla progettazione del futuro più che al recupero del passato. Roodhouse ci illustra queste realtà analizzandone progettualità e risultato, dalle cittadine ex-industriali inglesi come Sheffield o Newcastle, al Museum Quartier di Vienna al Temple Bar di Dublino, per giungere alla descrizione del progetto complesso di un Cultural Quarter a Bolton. Roodhouse ci mostra come a Bolton la realtà di un passato degradato sappia trasformare il passato industriale ormai in declino in un’economia della conoscenza: una transizione determinata da una necessità sociale non più e non solo economica, ma soprattutto, e collettivamente, progettata per la mente e la creatività dei cittadini.
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