«Il linguaggio può essere identificato come uno dei luoghi chiave della discriminazioni e della violenza, che la filosofia del linguaggio ha il compito di svelare in tutte le sue     forme.»


Claudia Bianchi, in Hate speech. Il lato oscuro del linguaggio (Laterza), ci spiega come cambiare i limiti di ciò che può essere detto cambia allo stesso tempo i limiti di ciò che può essere fatto: i linguaggi della violenza ci abituiamo a una mancanza di attenzione e vigilanza sulle parole, che rende più accettabile la mancanza di vigilanza sulle azioni.


    Fare cose con le parole


A partire dalla riflessione del filosofo John Austin, nella seconda metà del Novecento, abbiamo imparato che il linguaggio non serve solo a "dire" ma anche a "fare", questa qualità del linguaggio si chiama performatività. Il linguaggio d'odio produrrà in questo senso diverse azioni: violenza, discriminazione, nullificazione, emarginazione. Il saggio di Claudia Bianchi approfondisce i vari aspetti del linguaggio d'odio, nella vita quotidiana, nel discorso pubblico e sui social, fornendo strumenti linguistici per comprendere le declinazioni dello hate speech, ad esempio l'ingiustizia discorsiva e le parole d'odio. Bianchi analizza le strutture del discorso violento in una casistica che va dalla discriminazione di genere al crimine d'odio, dividendolo in tre grandi aree tematiche, ad ognuna dedica un capitolo del libro, il quarto capitolo invece è dedicato a come contrastare il linguaggio d'odio:


  1. 1° Orgoglio e pregiudizio: ingiustizia discorsiva.
  2. 2° Sesso, bugie e videotape: riduzione al silenzio.
  3. 3° Parole come pietre: fare cose con parole d’odio.
  4. 4° Guerra e pace: contrastare il linguaggio d’odio.

    Gli epiteti d'odio


Gli epiteti, ovvero le parole offensive come gli insulti, ad esempio, hanno un forte potere performativo. L’autrice, richiamandosi alla triplice classificazione che ne fa Lynne Tirrel, ne isola tre funzioni:

      • - tracciano una linea di demarcazione fra chi è dentro e chi è fuori dal gruppo, marcano l’altro da noi e contrappongono un ‘noi’ e un ‘loro’;
      • - svolgono un ruolo importante nell’essenzializzare le categorie sociali; presuppongono differenze intrinseche che a loro volta sarebbero all’origine di differenze morali o culturali e vanno così a rinforzare la gerarchia sociale;
      • - gli epiteti incitano a compiere certe azioni, e ciò facendo le legittimano, delineano quali tipi di trattamento degli individui bersaglio dell'offesa sono permessi e appropriati.


Proprio sulla legittimazione dei linguaggi d'odio hanno parlato Ida Bozzi e Claudia Bianchi durante la proclamazione dei 5 finalisti di Premio Biella Letteratura e Industria 2022, qui si può rivedere l'intera intervista:



  
  Le presupposizioni


Non di soli epiteti è fatto il linguaggio d'odio. L’odio viaggia su binari molto più ambigui, e riguarda anche frasi che non contengono epiteti ma che «consolidano credenze», spesso le usiamo senza neanche accorgercene, sono le presupposizioni. In un certo senso una presupposizione ha più forza di un'asserzione perché non viene messa al centro della frase ma presupposta, in questo modo è sottoposta a una minor vigilanza da parte del parlante.

Tra le soluzioni attive contro l’odio, Bianchi ricorda che è possibile bloccare questo passaggio sottinteso di contenuti dannosi che si annidano nei discorsi, a patto di evitare il muro contro muro della negazione diretta. Tra le strategie da privilegiare c'è ad esempio il blocking, che richiede l’esplicitazione dei contenuti dannosi (“Usando negro dai per scontato che ci sia qualcosa di male nell’essere nero”); oppure il commento o la negazione metalinguistica (“È sbagliato usare insulti razzisti”); le correzioni o riformulazioni, anche se bisogna fare attenzione al cosiddetto Streisand effect, «fenomeno per cui il tentativo di censurare o rimuovere un’informazione ne provoca invece ulteriore diffusione». Secondo l'autrice infine, soprattutto sul web, possono essere messe in gioco altre strategie di opposizione: come l'empatia e l'affiliazione. Al primo posto per efficacia troviamo, però, l’ironia, che è l'arma più affilata che abbiamo per disinnescare il linguaggio d'odio.


Claudia Bianchi è professoressa ordinaria di Filosofia del linguaggio presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. I suoi interessi vertono su questioni teoriche negli ambiti di filosofia analitica del linguaggio, pragmatica e filosofia del linguaggio femminista.


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