Porto di Ravenna, cantieri navali Mecnavi, 13 marzo del 1987. Mentre alcuni operai stanno ripulendo le stive della Elisabetta Montanari, nave adibita al trasporto di gpl, e altri colleghi tagliano e saldano lamiere con la canna ossidrica, una scintilla provoca un incendio. Le fiamme si propagano con una rapidità inarrestabile. È la tragedia. Tredici uomini muoiono asfissiati a causa delle esalazioni di acido cianidrico. I tredici uomini erano tutti picchettini, e si chiamavano Filippo Argnani, che all'epoca aveva quarant'anni, Marcello Cacciatori, che di anni ne aveva ventitre, Alessandro Centioni, ventuno, Gianni Cortini, diciannove, Massimo Foschi, ventisei, Marco Gaudenzi, diciotto, Domenico Lapolla, venticinque, Mohamed Mosad, trentasei, Vincenzo Padua, sessant'anni, che stava per andare in pensione e si trovava lí per puro caso chiamato all'ultimo momento per una sostituzione. Vincenzo era l'unico operaio veramente in regola assunto dalla Mecnavi. E ancora: Onofrio Piegari, ventinove anni, Massimo Romeo, ventiquattro, Antonio Sansovini, ventinove, e infine Paolo Seconi, ventiquattro
Tredici lavoratori morti come topi, come tredici era il giorno di quel mese, tutti asfissiati nel ventre della balena metallica. «Non credevo che esistessero ancora simili condizioni di lavoro, a Ravenna, alle soglie del Duemila», disse il procuratore capo della Repubblica Aldo Ricciuti che svolse le indagini. La tragedia poteva essere evitata? La giustizia ha poi «ripagato» le vittime e i famigliari?
Ognuno dei tredici operai, quel giorno maledetto ha lasciato una famiglia, amici, affetti, ricordi. Ventisei anni dopo, Angelo Ferracuti si fa carico di ciascuna di queste storie e di queste vite interrotte. Decide di andare sul luogo della tragedia e di parlare con i protagonisti: i vigili del fuoco che estrassero i cadaveri, i medici del 118, gli infermieri, gli operai sopravvissuti, i famigliari delle vittime, i sindacalisti, gli imprenditori, il cardinale Ersilio Tonini che pronunciò l'omelia in cui paragonò i picchettini a topi che strisciavano nel ventre delle navi e che lí rimasero intrappolati.
Giorno dopo giorno, Ferracuti ascolta e raccoglie le voci di chi quel 13 marzo c'era, ne attraversa i ricordi, il dolore, la rabbia. Rivive i luoghi, entra piano piano, delicatamente e con partecipazione, nelle vite dei tredici operai e nel loro mondo per cercare di avvicinarsi al peso feroce della tragedia. Una tragedia dopo la quale la vita e i pensieri di chi è rimasto coinvolto semplicemente cambiano e niente sarà più come prima.
"Gran parte della letteratura degli ultimi anni dedicata al tema del lavoro si è posizionata lungo la traiettoria del reportage narrativo: un genere di scrittura piuttosto ibrido, sul modello dell’inchiesta, che trova alimento nei documenti d’archivio o nei reperti di cronaca. Il libro di Angelo Ferracuti è un caso esemplare. Narra la vicenda di una tragedia sul lavoro: quella accaduta il 13 marzo del 1987 nel porto di Ravenna, nei cantieri navali della Mecnavi, dove persero la vita tredici operai, morti asfissiati per le esalazioni di acido cianidrico nella stiva della «Elisabetta Montanari», adibita al trasporto di gas gpl. Come tante altre disgrazie, anche questa viene presto sepolta sotto il solito cumulo di retorica, archiviata dopo il consueto (e a volte inutile) rito delle inchieste, dimenticata fra le polverose carte di archivio come un peso da abbandonare presto. È da questo movente - dal desiderio cioè di dare una voce e un volto a chi non c’è più, dal desiderio di ricostruire una vicenda paradigmatica - che prende corpo l’idea di Angelo Ferracuti, scrittore tra i più dotati e sensibili nei confronti della condizione operaia declinata nei decenni dopo il Duemila. A differenza di quanto accadeva negli anni del miracolo economico, scrivere di dipendenti e di industrie oggi significa esprimere il bisogno di testimoniare soprattutto le tragedie (e non solo le presunte conquiste) che ancora avvengono sul lavoro, l’urgenza di documentare la situazione non sempre agevole in cui si è costretti a operare, il desiderio di fare chiarezza, esprimendo quel poco di umanità che riesce a sopravvivere faticosamente nell’aria di morte che fatalmente circonda il luogo dove si è abbattuta la sciagura. A tutto ciò risponde il libro di Ferracuti: è impegno civile, documento di una sofferenza, viaggio nel buio del dolore, indagine nei tormenti di chi ne è stato responsabile, riscatto della coscienza. Ed è anche prosa lucida e appassionata, caparbietà documentativa e febbre di sentimenti, ansia di ricerca e resp.."
Giuseppe Lupo
Angelo Ferracuti è reporter e scrittore. Ha collaborato con «Diario» e oggi con «il manifesto». Ha pubblicato, fra l'altro, i romanzi: Norvegia (Transeuropa 1993), Attenti al cane (Guanda 1999), Nafta (Guanda 2000), Un poco di buono (Rizzoli 2002). E reportage narrativi: Le risorse umane (Feltrinelli 2006), Viaggi da Fermo (Laterza 2009), Il mondo in una regione (Ediesse 2009).