Enriques: Federigo e Giovanni, padre e figlio. Del primo (1871-1946) si è detto e scritto molto: matematico, filosofo e storico della scienza, ebbe un’aspra polemica con Benedetto Croce. Viceversa il secondo (1905-1990), ingegnere e uomo d’azione con vasta esperienza internazionale, è stato finora oggetto di un’attenzione sporadica, nonostante il segno notevole lasciato nei vari campi in cui ha operato: manager (direttore generale dell’Olivetti), responsabile di un noto istituto postuniversitario (Ipsoa), consulente dell’Imi, responsabile del Centro studi della Confindustria, infine imprenditore (penne Aurora e Zanichelli).
A questa lacuna si propone ora di rimediare l’avvincente biografia di Sandro Gerbi, basata su approfonditi scavi in archivi pubblici e privati, e su preziose testimonianze dirette. Una vita, quella di Giovanni Enriques, che si snoda lungo quasi tutto l’arco del Novecento, sempre in ruoli di vertice, a rappresentare una classe dirigente capace e dotata di solida cultura scientifica.
Politicamente liberale «di sinistra», la sua visione aziendale prevedeva: un sano equilibrio fra interesse generale e privato, un’attenzione per l’«uomo» di stampo olivettiano, una netta vocazione didascalica, la concessione di ampie deleghe nel rispetto delle competenze, la curiosità per ogni innovazione tecnologica.
Tutto ciò – altra rarità – si accompagnava a una forte carica di simpatia personale, che spiega in buona misura l’incredibile rete di relazioni tessuta da Enriques nel corso della sua esistenza. Il lettore troverà nel libro uno stuolo di persone famose, il cui destino in un modo o nell’altro si è incrociato con quello del protagonista. Basti citare Fermi, Rasetti, Segrè, Majorana, Edoardo Amaldi, Camillo e Adriano Olivetti, Gino Martinoli, Natalia Ginzburg, Gianni Agnelli, Mattioli, Baffi , Siglienti, Pannunzio, Buzzati, Bobbio, Nicolò ed Elena Carandini, Luciana Nissim, Rosellina Archinto.
“Sono ingegnere, ho fatto male il liceo, bene la scuola di ingegneria, ho fatto due volte l’operaio per guadagnare e mangiare. Sono stato poi impiegato, dirigente e ora sono imprenditore”. Poche parole, e Giovanni Enriques ha dettato la sua autobiografia. Tutte le tappe di quella vita esemplare di homo faber e poeticus sono ora ripercorse passo dopo passo, e con rigore e scioltezza narrativa, in questo libro di Sandro Gerbi. Doveva, lo storico, dissodare “un terreno praticamente inesplorato”, e ha interrogato archivi, biblioteche, fondazioni, epistolari, testimonianze orali e album fotografici, senza escludere “il disordine delle carte personali”. Dai poemetti epitalamici per il fidanzamento dei genitori ai ricordi di prima infanzia, i voti a scuola, i nomi dei professori e dei compagni di classe, gli itinerari delle gite in montagna con i nomi dei capicordata, gli anni dell’università, il primo impiego, la fulminea carriera, il vulcanico percorso, con le sue vittorie e i suoi incidenti, le soddisfazioni, le amarezze. Nel suo modo di vedere, Giovanni Enriques era convinto che “se vogliamo che tutto cambi, occorre procedere per gradi”. Dove “per gradi”, non significa a passi trattenuti. A 25 anni il suo primo impiego alla Olivetti (come operaio, nelle officine e nei montaggi) a 31 anni è direttore dell’Ufficio Esteri, poi direttore generale, e poi ancora alla guida dell’Ispoa, da aggiungersi alla triplice consulenza all’Imi, alle presidenze della Zanichelli, della Fabbrica di penne Aurora, dell’Editoriale Aurora Zanichelli (AZ) da lui fondata, e alla sua attiva presenza ai vertici direttivi della Confindustria, del Touring Club Italiano, della Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), dell’Associazione Italiana Editori (AIE). Senza trascurare l’amata montagna né un’intensa vita di relazione, dialogando alla pari con i massimi vertici economici e politici del Paese. “Inoltrarsi per innovare” era il suo motto. Innoverà la Olivetti (raddoppiati i dipendenti e resa la prima in Europa), la Zanichelli aprendola sempre più alla cultura internazionale, rivoluzionerà con la Parabola d’Oro l‘attività turistica riproponendola nell'intrinseca fisionomia dell'attività industriale. Una biografia costata a Gerbi “una fatica improba”. Premiata, però, da “grandi soddisfazioni” nella consapevolezza di avere indicato un modello per una futura civiltà dell’impresa, e raffigurato, come nella lettura di Montale, “Il paradigma dell’uomo che non vuole essere lupo fra gli altri lupi”.
Pier Francesco Gasparetto
Sandro Gerbi (Lima, 1943), storico e giornalista, nell’ultimo decennio ha pubblicato i seguenti volumi: Raffaele Mattioli e il filosofo domato (2002); insieme a Raffaele Liucci, la biografia in due volumi di Indro Montanelli (2006 e 2009); Mattioli e Cuccia. Due banchieri del Novecento (2011). Nel 2012 Hoepli ha proposto una nuova edizione, riveduta e corretta, del primo libro (1999) di Gerbi, Tempi di malafede. Guido Piovene ed Eugenio Colorni. L’autore ha inoltre curato vari volumi del padre, Antonello Gerbi, tra cui La disputa del Nuovo Mondo. Negli ultimi vent’anni ha collaborato alle pagine culturali della «Stampa», del «Sole 24 Ore» e del «Corriere della Sera».