Benassa è lo storico, coriaceo rappresentante sindacale dei lavoratori alla Supercavi di Latina-Borgo Piave. La tuta blu sull'anima, la trattativa nel sangue, era il terrore di ogni direttore del personale. Tutti i comunicati che emetteva il Consiglio di fabbrica, li componeva lui di notte. Ed erano poemi. "Mazzate a rotta di collo sull'Azienda e su tutti i Dirigenti. Come movevano una paglia, lui li tartassava sopra la bacheca." Sapeva fare solo quello. E solo quello aveva sempre fatto.
Per anni ha guidato le lotte dei compagni, tra cortei e blocchi stradali, picchetti e occupazioni, conquiste e delusioni, ma ora che bisogna combattere l'ultima decisiva battaglia sindacale, la gloriosa azione collettiva per tenere la fabbrica aperta e sul mercato, Benassa è stanco. Sul punto di mollare. O forse no.
Dopo un'occupazione epica della centrale nucleare di Latina, in due giorni di febbrile clausura nel sepolcro dello stabilimento, Benessa cerca di spiegare ai propri compagni le sue ragioni. Perché dopo vent'anni spesi a lottare per loro sta per cedere alle richieste del capo del personale? Perché è sul punto di accettare di essere pagato per stare fuori dalla fabbrica?
Questo è il primo libro di Antonio Pennacchi, il suo romanzo d'esordio, una grande epopea operaia scritta nel 1987, quando era lui pure come Benessa operaio in Fulgorcavi, e il suo eccentrico talento doveva vedersela coi turni di note alle coniche a alle bicoppiatrici. Con il suo stile ribaldo, insieme ironico e drammatico, racconta una storia di fabbrica e di conflitti sindacali, di un tempo in cui gli operai erano davvero "uno per tutti e tutti per uno" e tra i capannoni della Fulgorcavi/Supercavi si alternavano la rivolta radicale e la solidarietà più accorata, l'odio per il lavoro organizzato e l'orgoglio per la potenza delle macchine.
Nel frattempo quella classe operaia "che doveva fare la rivoluzione", e che invece si è avviata inesorabilmente all'estinzione, proprio come i mammut nella preistoria, è tornata a farsi vedere e sentire. Colpo di coda, canto del cigno? O rinascita, riscossa? Come si dice, ai posteri... Quello che è certo è che il romanzo di Pennacchi, che di quella classe ci racconta gioie e dolori, fatiche e speranze, conserva ancora intatta la sua forza e la sua illuminante sagacia, e quella capacità, che è tipica solo dei classici, di essere esemplare.
Sentiamo, perché mai la classe operaia non dovrebbe più andare in paradiso? A prima vista, i motivi per la mortificante esclusione non mancherebbero. A cominciare da quel Quattroruote letto in sostituzione del Capitale o da quel mirabile mondo nuovo pianificato tutto per sé e non più per tutti, e per finire con una classe che da appassionata si è fatta disamorata, e che da specie in impaziente evoluzione si è devoluta in specie in logorata estinzione; "come i mammut" infierisce Pennacchi. "Lotta / dura / senza / paura", addio? Andiamoci piano con incaute deduzioni, c'è prima da leggere questo libro, questa storia corale di una fabbrica di nome Supercavi e storia individuale di un operaio di nome Benassa. Fabbrica, non solo luogo di dolore e fatica, ma anche di gioie, amori, soddisfazioni, condivisioni. Dove il lavoro è, si, manuale, ma anche comunitaria trasformazione della materia, e dove, quindi, il "fare" è "poiesis" e l'uomo è faber e poeticus. Ma dove anche la macchina è creatura animata, con una sua personalità, un suo nome, di donna sempre, ciascuna impegnata in un dialogo ininterrotto con l'operaio che le lavora al fianco, e che la capisce, ne intuisce le esigenze, ne decifra gli appelli. E' in quella stessa fabbrica che si svolge il percorso individuale dell'operaio Benassa, condannato al fine pena mai dei turni di notte, leader maximo della protesta sindacale, e persino un intellettuale, senza volerlo e senza offesa, uno che scrive comunicati come poemi. Per i padroni, invece, un dannato e dannoso rompicoglioni da neutralizzare, quanto prima tanto meglio. Infatti. Benassa vorrà farci credere in finale di essersi lasciato neutralizzare, persino di avere realizzato un sogno che dice essere di tutti "Farsi mandare a casa i soldi senza andare a lavorare". Scrivendo, però. La storia sua e della sua fabbrica. E la storia (la lezione, il monito) della trascurata miniera di intelligenza e di creatività di una classe insofferente, e immeritevole, di giurassico.
Pier Francesco Gasparetto
Operaio fino a cinquant'anni, Antonio Pennacchi è nato a Latina, dove vive, nel 1950. Ha pubblicato per Mondadori i romanzi Canale Mussolini (2010, premio Strega), Il fasciocomunista (2003, premio Napoli), da cui è stato trattato il film Mio fratello è figlio unico, e i racconti di Shaw 150. Storie di fabbrica e dintorni (2006). E' autore anche di Le iene del Circeo (Laterza 2010), Fascio e martello. Viaggio per la città del Duce (Laterza 2008). Collabora a "Limes". Ha moglie, due figli e due nipoti femmine.