Mino Palata ha diciannove anni, famiglia operaia, è iscritto all'università per salvarsi dal destino che lo attende. Il destino sa di carbone e puzza di siderurgico. Mino studia giurisprudenza, ma con poca convinzione. Vive in uno dei casermoni del "vicolo dell'acciaio". Lì pullulano le vite di molte famiglie tarantine irrimediabilmente segnate da una sorte già scritta. Ognuno è toccato da un lutto o una malattia dovuta alla grande fabbrica. Mino racconta in uno stile arrabbiato e scorrevole, uno per uno, incidenti, conflitti e "consoli", ossia le cerimonie funebri in cui si raccolgono doni per le famiglie rimaste senza padri e senza figli maschi. Ma racconta anche i personaggi straordinari e pittoreschi che compongono un caleidoscopio di vite vere, che sembrano opporsi con ingenua e sincera vitalità al loro destino segnato.
Tra gli operai dell'ex Italsider svetta il Generale. Uomo del nord, emigrato al contrario, che lavora con l'acciaio. Ha le dita che sanno di fiamme e gli occhi sempre rossi, un uomo da siderurgico in tutto e per tutto. Raramente parla dei compagni, del lavoro e del caldo che gli porta la pressione a tremila. è un uomo fermo e autorevole, tiene il polso dentro la fabbrica, sa quando è il momento di fare sciopero e quando no; ma è anche il padre di Mino. Accanto al giovane aspirante avvocato, figlio del Generale, c'è la prorompente e ruspante Isa. La ragazza ha il rispetto che si accorda a una del vicolo da sempre. Con lei, Miss Sudan, c'è Pirdo, un fedelissimo, un ultrà che se la fa coi capi della curva. E poi c'è Trottola "un prima linea", uno che si riempie i polmoni di Italsider e infine c'è la madre di Isa, Maddalena, una femmina doc, l'unica bionda del vicolo.
Sullo sfondo delle mille vicende di questo romanzo, scandito da lutti e amori, l'ombra della grande fabbrica che sovrintende e condiziona le vite di tutti gli abitanti del "veicolo dell'acciaio".
Menestrello impietoso di un sud vittima di mali secolari che stenta a scrollarsi di dosso, Cosimo Argentina racconta una storia quasi post-industriale nel suo romanzo "Vicolo dell'acciaio". In una Taranto depressa e assolata, la cancrena sociale si chiama Italsider, matrigna impietosa che ha offerto nei decenni lavoro, incidenti e malattie ai polmoni dei suoi dipendenti operai. In questo panorama di dolente staticità si sviluppa la storia del diciannovenne Mino Palata, abitante del quartiere periferico denominato "vicolo dell'acciaio", zeppo di casermoni, lamentazioni, vuoti umani a perdere, cancri e illusioni spezzate. Figlio del mitico Generale, Mino tenta la sorte di una fuga attraverso lo studio, per evitare la prevedibile rotta verso il fumo delle ciminiere, la catarsi dei sogni, la fine in un letto di dolore.
Ma il vicolo dell'acciaio è un delirante luogo dell'anima che instilla dubbi, spinge ad arrendersi al rituale incolore della quotidianità, tra cerimonie funebri collettive con il logorante rito del "consolo", l'amore sofferto per la bella Isa, il cazzeggio nel quartiere tra i "gechi" appollaiati contro i muri a stordirsi di birra, il tifo per il Taranto: una connessione di provvisorietà che diventa apatia, modo d'essere e di annullarsi. Con un linguaggio forte, pantagruelico - una sorta di enorme rutto italo-dialettale che spurga malesseri e bestemmie, sudori e piaceri, Argentina tiene in piedi una costruzione solida, l'unica in mezzo alla devastazione che circonda invece i suoi protagonisti. Da certe realtà non c'è scampo, sembra suggerire l'autore, se non in un eterno ripetersi della rassegnazione, del dolore. Una forma intensa e folgorante di nuovo romanzo sociale.
Sergio Pent
Cosimo Argentina è nato a Taranto il 22 luglio del '63, vive in Brianza dal '90. Ha pubblicato tra l'altro Il cadetto nel 1999 (Marsilio), Bar blu Seves nel 2002 (Marsilio), Cuore di cuoio nel 2004 (Sironi - Fandango Tascabili), Maschio adulto solitario nel 2008 (Manni) e il pamphlet Beata ignoranza sempre nel 2008 (Fandango).